ATTI DI BULLISMO? SI TRATTA DI “STALKING SCOLASTICO”
Per la Cassazione perseguitare il compagno di classe con abusi, vessazioni e violenze psicologiche, sino a costringerlo a cambiare scuola, costituisce reato di stalking anche a carico dei minori (Cass. Penale, Sez. V, Sentenza 26595 del 11.06.2018)
Offendere, deridere, picchiare un compagno di classe è stalking. Lo conferma la quinta sezione della Corte di Cassazione intervenendo sul tema del bullismo e confermando le pene per due ragazzi che alla vittima avevano provocato uno stato d’ansia tale da impedirgli di continuare la carriera scolastica.
I giudici hanno inquadrato il caso di bullismo continuato ai danni di un allievo, accaduto in una scuola pubblica italiana, come una colpa da includere tra gli “atti persecutori”, con le aggravanti penali che ne conseguono, anche alla luce del comprovato stato d’ansia che si è innescato nella giovane vittima.
Il ragazzino, deriso e anche picchiato per mesi da due coetanei, ha dovuto infatti abbandonare prematuramente la scuola, come ha riportato anche il padre in Tribunale, che ha confermato non solo i cambiamenti psicologici del figlio, ma pure la violenza fisica tramutatasi in segni tangibili.
Dinanzi a fatti vessatori di tale portata, pure se attuati all’interno di una scuola, si incorre, secondo i giudici, negli atti persecutori previsti dall’articolo 612 bis del Codice Penale, introdotto con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, con tutte le aggravanti del caso.
La Suprema Corte ha confermato la tesi espressa dal giudice di secondo grado, anche con riferimento alla “ritenuta sussistenza degli altri reati (percosse, lesioni personali) sottolineando, con particolare riguardo allo stalking, la pluralità delle condotte vessatorie poste in essere dai due imputati in danno del minore per tutto il periodo dell’anno scolastico in cui frequentò la scuola, costringendolo, prima, a interrompere la frequenza scolastica e, alla fine, ad abbandonare la scuola.
Eventi che, avendo determinato un’evidente alterazione delle condizione di vita del minore, integrano, come correttamente ritenuto dal giudice di appello, la fattispecie incriminatrice, di cui all’articolo 612 bis Cp, unitamente all’accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità sica, insorto nel minore”.
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