CONTO CORRENTE COINTESTATO? SI TRATTA DI DONAZIONE INDIRETTA
La cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di un conto corrente è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari (Cass. Civ., Sez. II ord. 4682 del 28.02.2018)
La cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata in conto corrente presso un istituto di credito, è qualificabile come donazione indiretta qualora detta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario: a condizione, però, che sia verificata l’esistenza dell'”animus donandi“, ovvero nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità.
Nella vicenda oggetto della pronuncia, Tizio conveniva in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, Caio deducendo che la somma di Euro 50.000,00, da lui prelevata dal conto corrente bancario cointestato con il convenuto presso la Banca, era stata oggetto di donazione da parte di Caio, il quale aveva cointestato il predetto conto corrente ad entrambe le parti versando sullo stesso la somma di Euro 100.000,00. In forza di tali fatti, Tizio chiedeva che fosse accertata la contitolarità della somma complessiva di Euro 100.000 e la spettanza in suo favore di metà della somma, per donazione indiretta e per applicazione dell’art. 1298 c.c..
L’azione veniva rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, giungendo infine in Cassazione. Gli ermellini, nell’ordinanza 4682/2018, al contrario di quanto sino a quel punto sentenziato, osservano come la corte d’appello abbia errato nell’escludere la fattispecie della donazione indiretta, sulla non condivisibile considerazione che l’animus donandi dev’essere oggetto di una emergenza diretta dal (diverso) atto scritto da cui tale liberalità risulta (art. 809 c.c.).
Difatti “laddove, al contrario, solo nella donazione diretta l’animus donandi deve emergere direttamente dall’atto (pubblico: art. 782 c.c.) che (con salvezza della donazione di bene mobile di modico valore), sotto pena di nullità, la contiene. Nella donazione indiretta, invece, la liberalità si realizza, anzichè attraverso il negozio tipico di donazione, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l’effetto dell’arricchimento del destinatario, sicchè l’intenzione di donare emerge non già, in via diretta, dall’atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall’esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne abbia interesse.”
Alla luce delle precedenti considerazioni, concludono i giudici, “l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari – può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità“.
Il ricorso pertanto è stato accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello.
di Davide Carlo Sibilio